venerdì 19 febbraio 2016

Lunga vita al cappello!

                                                             Perché il cappello? 
Perché la vita di questo accessorio è lunga, almeno quanto quella dell'uomo (ma soprattutto della donna, dico io!) che lo ha ospitato sulla propria testa. Le sue origini sono lontane nel tempo, partono dall'antico egitto , passano per la Grecia e per l'Asia fino ad approdare in Europa: qui si diffonderà la moda del cappello elegante, che partendo da Francia e Inghilterra arriverà alla grande produzione italiana del Novecento. 
Perché il cappello è presente in tutte le civiltá, è un simbolo dalle molte valenze: culturali, sociali, individuali, influenza i codici comunicativi, rappresenta visioni del mondo, è metafora della creativitá che si sprigiona dalla sede del pensiero sulla quale sta elegantemente appoggiato. 


Perchè il cappello cela il capo, ma sotto di lui anche il volto muta il proprio aspetto in un gioco di ammiccamento, seduzione, provocazione che lo rende uno strumento di magia. La forma del cappello segue la forma della testa ma al tempo stesso la trascende e parla una lingua propria capace di amplificare le relazioni comunicative. 
Mettersi il cappello, togliersi il cappello, cambiare cappello: gesti che si compiono sul palcoscenico quotidiano per assumere ruoli diversi, per cambiare la propria immagine e forse le proprie idee, uno spettacolo di complicitá in cui uomo e cappello sono entrambi primi attori. 

  Vi è forse venuto il sospetto 
che mi piacciano i cappelli?

Ebbene è proprio così!

E allora vi presento la prima di una lunga serie di spille con cappello, volti femminili che cambiano con il passare dei decenni e delle mode: una collezione che ho costruito (disegnato, tagliato, dipinto) attraverso anni di ricerche sulla moda, sui figurini, sui cartamodelli dei cappelli femminili del '900, secolo che ha dato il meglio della produzione per questo accessorio così particolare e, per tanti anni, così amato.

Lei è Doretta  
anno di produzione del cappello 1940


Doretta indossa un turbante in raso di seta bluette, arricchito alla sommità da una piccola pietra in cristallo e un pennacchio sempre in seta. Ogni spilla reca un nome di donna legato al periodo e l'anno di produzione del cappello.




Gli anni '40: anni non felici, anni difficili e travagliati che hanno segnato la storia d'Italia: In quegli anni il semplice turbante veniva spesso indossato per coprire capigliature che difficilmente si riuscivano a tenere in ordine, visti i tempi, la scarsità di mezzi e gli eventi che si susseguivano.





  Breve storia del Turbante, un copricapo umile ma di grande fascino




Il turbante ha origini orientali, è un accessorio che porta con sé significati e storia. Dalle lontane epoche persiane, attraversa religioni, continenti, guerre, arte, musica, moda e arriva ai nostri giorni. Nel lontano Oriente, il turbante era un accessorio di rappresentanza prettamente maschile: indicava la casta e la città di provenienza di un uomo in India, ma in Europa il turbante era indossato solo dalle donne, veniva considerato un capo di alta moda e di solito adornato con gioielli.


                   E infine l'ultimo perché...

Perchè  è un desiderio: che il cappello torni ad essere strumento di fascino e di eleganza, che nel cappello si ritrovi un segno di individualitá , di personalitá e, perché no, che possa di nuovo essere tolto dal capo per rendere omaggio ad una signora che sappia apprezzare questo gesto di antica galanteria.

domenica 7 febbraio 2016

La sindrome del cappellaio

Riprendo a scrivere qui dopo tanto tempo per introdurre un argomento che mi sta a cuore, quello del cappello. 
                                           Quasi un mondo a parte, si potrebbe dire.....

Dunque comincio col raccontarvi qualche curiosità storica sul cappello, curiosità che magari non tutti conoscono.

                                     Il cappellaio matto

Il personaggio del cappellaio matto che esce dalle pagine del libro Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol nasce da una realtà storica ben conosciuta alla metà del 1750. La moda di allora prevedeva cappelli a cilindro in feltro, materiale che veniva trattato e colorato attraverso l'uso di composti tossici tra cui mercurio, malachite, antimonio e arsenico; l'uso continuativo di queste sostanze causava dilatazione delle pupille che assumevano una colorazione sul verde e cambi di umore e di personalità piuttosto repentini.



Il mercurio in particolare era un elemento indispensabile nella composizione del feltro: le pelli animali venivano immerse in una soluzione a base di nitrato di mercurio che serviva a separare il pelo dalla pelle. Questo passaggio veniva chiamato carotatura. Il passaggio successivo era l'inceratura e la ricopertura con seta o pelle, accorgimento che proteggeva il cappello nel tempo e impediva a chi lo indossava di venire in contatto con le sostanze tossiche. I cappellai di allora avevano però l'abitudine di provarli sulla loro testa per sagomarli e i loro capelli,con l'andare del tempo, finivano per assumere una colorazione arancione fosforescente, arancio carota appunto, riprodotta alla perfezione da Tim Burton nel suo Alice in Wonderland, perfettamente interpretato da Johnny Deep.

Come vedete l'immagine del Cappellaio matto non è certo un personaggio di fantasia, ma rispecchia la realtà delle malattie da lavoro dell'epoca: le pupille dilatate, la colorazione verde dell'iride, i capelli color carota e i repentini sbalzi d'umore erano tutti segni di malattia.

L'assorbimento costante di quantità di mercurio causava un deperimento dell'apparato neurologico, che si manifestava con sindrome bipolare, ben conosciuta a quel tempo come Sindrome del Cappellaio matto  (mad hatter disease) e oggi conosciuta come malattia causata da avvelenamento da mercurio.



I discorsi sconnessi del cappellaio matto di Alice non erano quindi frutto della fantasia di Lewis Carrol, ma rispecchiavano una realtà ben conosciuta nella Londra del XVIII secolo, dove i cappellai venivano considerati persone eccentriche e instabili, tenute ai margini della società perchè potenzialmente pericolosi....e i loro discorsi non dovevano essere molto dissimili da quelli letti nel libro di Carrol o ascoltati nel film di Tim Burton.